si ravvisa sovente in questo profilo volitivo. L’emigrante non è una figura uniforme, che parte sotto la spinta di insopprimibili bisogni economici, è anche questo, ma non solo; nella maggioranza dei casi è soprattutto una donna che cerca il soddisfacimento delle proprie aspettative di vita altrove, perché al paese d’origine non trovano corresponsione.
La mobilità della donna delle Alpi non conosceva frontiere, né gli ostacoli della natura si frapponevano al suo proponimento di migrare. La gente di queste montagne ha ancora memoria del fitto reticolo di secolari sentieri, segnati da migliaia di suole chiodate, quando non da piedi nudi, dove i confini invalicabili erano rappresentati unicamente da incapacità o mancanza di volontà del tutto personali; erano un groviglio di viottoli assolutamente inestricabile e invisibile per coloro che non appartenevano a quell’ambiente.[3]
Inoltre, le frontiere politiche non sono elementi rilevanti se l’ambito di analisi si diparte da una visione entropica dell’emigrazione, come in questo caso, né ritengo metodologicamente corretto distinguere i flussi internazionali da quelli interni, poiché non sono dissociabili in origine, essendo entrambi effetto, nel loro carattere fondante, di una condizione strutturale in cui il fattore primario è «andare altrove» per eliminare un problema, non per risol¬ verlo, cosa che avrebbe implicato una scelta diversa di come gestire la propria emigrazione.
A tale proposito si impone un chiarimento sul fattore «spazio», che non è calcolabile in termini di distanza, bensì in rapporto ai contenuti sociali - anche se sarei più propensa a parlare di «spazi» in considerazione delle molte sfaccettature di questo evento -; pertanto, secondo una visione che sovverte il classico schema di analisi sul movimento sociale, la durata dell’assenza, che socialmente è l’elemento più rilevante, e la distanza, divengono fattori secondari rispetto all’insieme delle variabili che connotano il fenomeno migratorio in esame.
Ricostruire la storia dell’emigrazione femminile alpina tra Seicento e Novecento, o più semplicemente rilevarla dal prevalente flusso maschile, trova un primo immediato ostacolo: il silenzio delle fonti e, quindi, la rarefatta presenza degli storici. La spiegazione proposta per comprendere questa situazione oscilla tra due opposte opinioni: assenza di documentazione indotta dalla marginalità del fatto o, al contrario, «invisibilità» della donna dovuta alla sua integrazione nel sistema migratorio. In considerazione delle numerose modalità emigratorie presenti nell’arco alpino del periodo, nonché della molteplicità delle attività esercitate in emigrazione, personalmente