Ore di città/10
Parlando con loro
[edit]... loro... chi?
Loro due! I signori Baldini e Castoldi che sono poi, se non erro, i più vecchi editori e librai di Milano; due sagome che da cinquant'anni trattano commercialmente l'articolo e che ormai, dopo sì lunga pratica, se ne intendono di carta stampata come io... come io... scusate, ma mi sono impappinato; per verità non saprei dirvi di cosa io me ne intenda sul serio, certo niente conosco così a fondo come loro due ciò che stampano e che vendono.
Se voi proprio credete che occorra leggere un manoscritto per capire se andrà o non andrà, siete fuori di strada. E il naso? Ci dite poco?... le due vecchie volpi hanno un fiuto!... per esempio il mio nuovo libro di poesie non lo vorrebbero neanche ad ammazzarli... «La poesia l'à faa el sò temp, incoeu la và pù», commentano i due soci una volta tanto in coro.
Per loro i libri si tastano, si fiutano, si soppesano. Il titolo deve essere stampato ben chiaro sulla copertina, in grande che si possa leggere dal ponte al dazio.
Interrogarli sulla crisi che li travaglia non è facile. Bisogna prenderli a uno a uno. Se son lì tutti e due l'intervista minaccia di andare a monte. Se uno dice bianco, l'altro - subito - dice nero. Da mezzo secolo vanno d'accordo così.
In negozio non hanno nessun commesso. Ci sono soltanto loro due aiutati nella vendita, quando si danno il cambio, e quello che è rimasto in bottega va in fondo alla corte per qualche necessità, dai cosiddetti amis de la bottega e cioè da Patrucco, da Momigliano, da Baroni, Sassi, Prampolini... ma non da me però che per vederci poco non trovo i libri sugli scaffali e mi imbroglio nel dare il resto.
I amis de la bottega oltre alle prestazioni correnti di aiuto-vendita, costituiscono fra loro una specie di sinedrio letterario, di Duma dei Boiardi e sono, a volta a volta, commissione di lettura, correttori di bozze, consiglieri privati, legali della ditta e medici dei soci.
Sono le dodici e tre quarti e il signor Castoldi è andato a far colazione. C'è in libreria l'altro socio detto amicalmente «el barba». Il signor Baldini si scalda al calorifero, poi si accarezza soddisfatto quell'onor fluente del mento che l'à reso famoso in un bel quadro del Tallone che il bravuomo ha promesso di lasciare - il più tardi possibile - alla Galleria Municipale. Infine il caro ometto si arriccia i baffi con un bellissimo movimento milleottocentosettanta.
... sorrido: un ricordo. Questo gesto, eseguito colle due mani sui due baffi, costò una tombola a Vico Mantegazza! Si recava il comm. Vico a Limbiate in bicicletta da sua moglie la marchesa Clara, e così, per un moto abituale, lasciò impensatamente il manubrio e si arricciò i baffi.
Patapunfeta! Il Cavaliere di Gran Croce è andato a finire nella roggia!...
... «Ha letto, signor Baldini - gli chiedo - gli articoli sulla crisi del libro? Che ne dice di questa crisi? C'è o non c'è?»
Il decano degli editori scuote la testa come per cosa che non lo riguardi.
Non abbocca. Getto un altro amo:
«Ma, insomma, si vende o non si vende? Vanno o non vanno questi libri?» «Vanno e... e non vanno... secondo».
Non direi che tende a sbottonarsi. ... entra in negozio un signore molto per bene. Il signor Baldini gli va incontro col suo più amabile sorriso. «Avrebbero loro una cartolina illustrata del Duomo di Milano?» «Le avevamo, signore, ma adesso non possiamo più tenerle. Le troverà dalla cartoleria di fronte...»
Questo «caso» che smonterebbe ben altri, non demoralizza lui, anzi, lo induce all'ottimismo.
«Lei, caro Tessa, può pensare quello che crede ma io da questo posto in tanti anni ne ho visti di su e giù e non mi spavento per una crisi più o meno. Passerà, ne son passate delle altre...»
Lo guardo. Emilio De Marchi, il mio carissimo De Marchi, avrebbe messo quest'uomo in uno dei suoi romanzi. Mi figuro che il signor Ettore non ricavi il suo pertinace ottimismo da osservazioni esterne e di fatto ma da se stesso, gli nasce dentro. Il suo è un occaso sereno. Ha lavorato tutta la vita ed è sempre stato la più gran brava persona che si potesse conoscere, ha maritato le figlie e ha visto venir grandi i figliuoli del suo socio. Le sue giornate le chiude portianamente fasend l'amor cont on biccer de vin. Se è così, che volete che gliene importi se i libri si vendono o non si vendono? Ciò può preoccupare le grandi aziende ma non lui.
«Io ho sempre visto che le troppe spese rovinano la gente. La nostra massima è questa: tirare i remi in barca».
Il fatto si è che anche coi remi sui sedili la barca va avanti lo stesso.
L'altro socio però - il signor Antenore Castoldi - lo nega recisamente.
È pessimista. Il pessimismo è il suo stato d'animo basilare. È un profeta di sventura. Io direi con qualcun altro che può essere il suo un fenomeno del ricambio. Gli piacciono i lauti pranzetti e non dà tempo alla digestione. Invece di far quattro passi dopo pranzo si ficca subito a letto, non digerisce e si prepara a veder nero il giorno appresso.
«Ah! ah!... la critica!... gli articoli di giornale! glie li raccomando! Una volta, quando un grande giornale parlava di un libro nuovo, se ne sentiva subito il contraccolpo nella vendita. Qui, da noi, ne andavano dalle cento alle duecento copie in un giorno; ma oggi... tutto fermo! Il pubblico, che non è stupido per niente, ha infine capito che non si usa più dare di un libro un giudizio veramente libero. Il motto della critica odierna sembra essere il seguente: 'tutti devono vivere'. Che cos'è dunque? Critica o pubblicità? Capita così che la gente o non legge gli articoli o, se li legge, ci sorride su e si regola per conto suo».
... Penso per analogia a tante esposizioni ed esposizionette di quadri nelle quali gli artisti - poveretti - espongono le loro opere e se le ammirano esposte... «Crisi del libro?... macché crisi, macché crisi del libro! Dica piuttosto crisi dell'autore! Se saltasse fuori qualcuno come dico io e saltando fuori lo lasciassero saltare si vedrebbe subito se i libri si comperano o no». «Parlano dei prezzi - continua il signor Antenore - dicono che i libri non si vendono perché troppo cari... ma che prezzi d'Egitto! È la merce che non va, che non piace. Noi qui - caro lei - nel 1905 abbiamo stampato e venduto d'un colpo ben quindicimila copie di Leila a sei lire l'una il che vuol dire a circa trenta franchi del giorno d'oggi».
«Ma Leila, a parte che era di Fogazzaro e i Fogazzaro non vengono su come i funghi, era un libro di battaglia e le battaglie incontrano sempre in letteratura. Alla gente non piacciono i libri-sedobrol, non piacciono quegli autori ai quali ogni tanto vien voglia di dir loro: 'ehi, amico, dormiamo?...' Di Guido Da Verona - per esempio - si potrà dire quel che si vuole e lo si diceva anche ai suoi tempi, ma non dormiva, non 'pisoccava' come tant'altri colla penna in mano! Di Mimì Bluette si sono vendute cinquantamila copie effettive. Poi è venuto il trucco delle edizioni che cominciavano col trentesimo migliaio, hanno voluto gonfiare il pallone perché tutti lo vedessero ed è scoppiato, ma quando era con noi il Da Verona l'era ona bonna penna».
«Ma il Da Verona - replico io - è vivo e potrebbe lavorare ancora, altri poi potrebbe tentare la sua strada e sperare nei suoi successi». «Mah!... io direi che a questi pesci è venuta a mancare la loro acqua».
«A quanto si scrive sui giornali, le grandi tirature sono riservate ormai ai libri fuori diritti, agli autori collaudati - Manzoni, Hugo, Tolstoi - e tutti in edizioni popolarissime, da bancarella».
«Intanto, adagio, dov'è la certezza del numero delle copie? Appunto perché fuori diritti e cioè senza alcun controllo, ognuno può affermare quello che gli passa per la testa. Centomila copie? Ma sì! Perché non mezzo milione! E poi - mi dica lei - son libri quelli? Scorretti da far senso, messi insieme colla carta del macero, costano a chi li stampa da quaranta a cinquanta centesimi la copia e li vendono da settanta centesimi a una lira! Mi decantano ad esempio la strepitosa vendita di Anna Karenina e concludono: il pubblico ama i grandi autori, ama Tolstoi. Rispondo: ama Greta Garbo altro che storie! Il libro l'hanno venduto dopo il film come capitò a noi per Ben Hur che era una nostra edizione. Sa cosa vendono davvero per le strade? Lo zio del Pescatore di Chiaravalle, il Solitario Piacentino... ecco i veri successi!»
A questo punto entra, arzillo, in negozio a rasserenare l'ambiente l'ottimo signor Baldini sempre corretto nel suo immancabile colletto duro colle punte a risvolto, quel colletto che io pure porto ma soltanto nelle grandi occasioni quando m'invitano a dire le poesie in qualche casa di lusso.
Il barba depone sul tavolo del socio la corrispondenza del mattino e con essa qualche vaglia di buon augurio. Il signor Castoldi brontola, bofonchia, si agita sulla sedia e anziché rallegrarsi agli introiti della ditta apostrofa il socio che glie li porta con un lu, Baldin! di malumore.
L'intervista è finita e comincia il combattimento dei galli!
In Galleria, prima di andarmene per i fatti miei, do un'occhiata di saluto alla vetrina della vecchia bottega.
Decisamente è proprio brutta. È brutta di cuore, eccelle in bruttezza. È un minestrone di libri, una bisabosa di colori, sembra che tutto sia stato rovesciato dall'alto e caduto giù alla rinfusa.
Eppure ha un certo fascino... tira l'occhio come certe signore provinciali dell'anteguerra che si vestivano dai Bocconi alle «Cento Città d'Italia».
C'è, in bella mostra, il ritratto del Gotta e ci sono i suoi libri, l'ultimo e i più recenti. Vedete? Gli altri librai spendono un sacco di soldi in réclame. E giornali, e radio, e opuscoli e che so io! Loro due, invece, niente. Tutta la réclame che si fanno è qui, dietro a questo cristallo. Chi non passa dalla Galleria? Ci passa mezza Milano e mezza Italia e tutti quelli che passano sono obbligati per i trecentosessantacinque giorni dell'anno a vedere il ritratto del Gotta e le copertine dei suoi libri! Che può sperare di più un autore? Che se poi alla pubblicità permanente mettete avanti il valore effettivo del romanzo e la fama che il suo autore si è andata guadagnando adagio, adagio e che nessuno più gli contesta e gli può togliere, avrete la chiave del successo e delle molte edizioni. Il socio ottimista e quello pessimista se lo covano amorosamente il loro Salvatore che li salva dalla crisi e che li tien fermi nella loro idea che il pubblico alla fin fine basta saperlo interessare perché non vi abbandoni.